giovedì 10 settembre 2015

Champagne, la prima volta

La mia prima volta. Ebbene si un piccolo "randezvous" adatto solo ai minori. Ovviamente 
niente luci rosse, solo un po’ di alcool. Finora, 
sullo champagne, ho solo letto ed ascoltato 
altrui esperienze che in certo senso mi hanno 
fatto sentire un appassionato di serie B. Così, 
spinto da un'estate lavorativamente anomala 
che mi ha proposto solo 2 settimane di ferie 
peraltro separate, ho preso lamia auto e 
imboccato l'autostrada direzione Epernay
cuore dello Champagne, e dopo 1076 km ecco la mia prima volta. Se i primi 800 km mi hanno messo fisicamente alla prova, interamente 
sotto una pioggia battente novembrina, gli 
ultimi km sono stati devastanti, non ho visto un vigneto, niente di niente, facendomi 
seriamente preoccupare. Scarico l'auto e 
imposto il GPS per la prima visita... ed eccomi 
immerso in una marea di vigneti fin dove 
l'occhio può arrivare. Sono a Sacy, in piena 
Montagna de Reims, culla del Pinot Nero, I 
gentilissimi Hervieux mi compagnano in giro 
per la loro tenuta, assaggio l'uva prossima alla vendemmia e con mia sorpresa scopro che 
loro prediligono in gran misura lo chardonnay, cosa che si ripeterà nel proseguo. L’uva è 
pronta, almeno mi pare dalla dolcezza che ne 
percepisco, ma sarà il Comitato a dare il via 
ufficiale; prima di quella data non si può 
raccogliere. Quest’anno prevista dall'8 
settembre. 
Dopo? Ognuno fa quel che vuole. Ho 
assaggiato l’intera produzione, vini precisi 
diretti e piacevoli e usano molto il “Vintage”, 
per trasmettere il più possibile l’idea 
dell’annata e del territorio. Su tutti mi ha 
colpito la semplicità del Brut Chardonnay 
2013, fresco nella frutta acerba, leggermente 
agrumato e dal perlage insistente.
Subito dopo 
pranzo sono ad 
Avize, comune 
Gran Cru de “La Cote des blancs”, 
una ventina di 
chilometri 
perpendicolari d 
Epernay, qua lo 
chardonnay la fa da padrona, difatti da Franck Bonville, producono solo chardonnay. 
Compra un poco di Pinot Nero, che utilizza solo per il Rosè, che da loro, così come la 
maggior parte producono aggiungendo del 
vino rosso al mosto. La cantina è molto bella i sotterranei impressionanti per struttura e 
articolazione. Tra gli assaggi mi ha colpito il 
Voyes 2009, un Gran Cru con 60 mesi sui lieviti che presentava un naso complesso, intrigante e armonioso, anche in bocca la complessità 
era intensa e articolata. Estremamente lungo e ricco di sostanza e sapore.
Il tempo di riordinare le idee e con la macchina attraverso un’infinità di ettari vitati, ognuno di 
loro porta una targa sulla proprietà ed è un 
susseguirsi di nomi che scaldano la pelle e 
stimolano l’acquolina, fin che non arrivo a 
Trepail. Nuovamente nella “Montagna di Reims” patria del Pinot Nero. Anche stavolta trovo 
Adrien Pascal piccolo artigiano che predilige lo chardonnay, ne ha 5 ettari che lavora con 
grande amore e attenzione e qualcosa di Pinot Nero. Un giovane che si sta avviando ora, ma 
la batteria di vino che mi fa assaggiare mi 
danno sussulto. Il suo “Le Gran R” è a dir poco “strampalato” di una bontà impressionante. Una cuvée fatta da 50% chardonnay e 50% Pinot nero, entrambi del 2008 e questo solo per il 
50% del vino, il restante è il “vin de reserve” 
fatto da un altro 50% di assemblaggio del 2007, 30% del 2006 e 20% del 2005 e con solo 
4gr/l di zucchero. Un lavoraccio metterlo 
insieme, ma il risultato è strabiliante, uno 
champagne, si opulento, ma un naso intenso, 
complesso ed evoluto, dove il lievito integrale 
la fa da padrona, unito a intriganti sentori 
agrumati dove spicca un non nulla di cedro e 
un brivido di pepe di, in bocca è molto 
equilibrato nessuna virgola fuori posto, perlage infinito e setoso così come il lunghissimo 
sapido finale.
La mattina dopo 
sono a Pierry, in 
sostanza una 
continuazione di 
Epernay e mi 
fermo da Lenique Machael e Alexandre, 7 ettari sparsi nella Vallée de la Marne dove si 
coltivano tutti e 3 i classici vitigni. 
Difatti gli 
champagne 
prodotti hanno il 
più classico 
assemblaggio e 
sono un po’ più 
rustici e meno 
aristocratici, pur mantenendo un fascino unico. L’intera gamma è incentrata sulla semplicità di beva e gradevolezza essenziale, tra tutti mi è 
piaciuto il Secret de Famille, un assemblaggio di due Gran Cru, quello di Buzy con il Pinot 
Nero (30%) e quello di Menil S. Orger con lo 
chardonnay (70%) ricco di fiori di campo 
bianchi e gialli, verticale nell’acidità 
prorompente e dal frutto leggermente verde e 
finale sapido.
Pochi chilometri e arrivo a Buzy, in una maison media Gaston Cliquet, 23 ettari, ma pur 
sempre Récoltant Manipulant, cioè un’azienda che elabora autonomamente solo uve da poro coltivate.
Nulla è lasciato al caso, 1,5 ettari come 
giardino aziendale solo per esperimenti, prove e tentativi.
La cantina è affascinante, una passeggiata 
sotto terra affasciante. Tra gli innumerevoli 
assaggi lo Special Club 2007 mi colpisce per 
struttura generale, naso armonioso e bocca di un’armonia unica, nulla è poco, nulla è troppo, un gioco di emozioni leggermente agrumate 
molto piacevoli, dove acidità e sapidità vanno a braccetto.  Finisco la giornata un po’ più 
lontano, a Berges Les Vertus, sono 
nuovamente all’interno della Cote des Blanc 
ma ai piedi della Montagna di Reims presso una nuova realtà, Perrox Batteau 25.000 bottiglie a fronte di 5 ettari per il 95% vitati in 
chardonnay. Stile preciso e chiaro, i vini 
escono solo dopo aver passato 36 mesi sui 
lieviti. Da loro mi ha colpito il Nature, una 
cuvée di 2006 e 2007 non dosato e di solo 
chardonnay, un blanc de blanc dritto verticale a tratti invasivo con una forte mineralità 
affascinante e di una lunghezza pressoché 
Infinita.
L’ultimo giorno di visite è un vero tour de force sotto la pioggia e col freddo. Siamo a fine 
agosto, ma il termometro alle 9 di mattina 
arriva a 11 gradi e durante il giorno non supera i 15, sempre sotto una pioggia battente. Arrivo da Jacquesson, un grande nome, una garanzia, la cantina è molto bella e mi colpisce che 
usino ancora due storiche presse quadrate, 
comandate pneumaticamente e stoppate ai 
400 kg di pressione, nonostante il quasi 
milione di bottiglie prodotte. Tra i tanti assaggi alcuni “mono zone” riguardano i Gran Cru 
posseduti nei vari comuni e nelle varie zone, 
difatti oltre ai consueti champagne che riportano il numero dell’assemblaggio (739 è il nuovo in uscita), mi ha colpito il Cham Cain 2005, un Gran Cru di Avize e 100% di chardonnay, dal 
naso sussurrato che non si pronuncia 
nell’immediato, ma che sprigiona un bouquet 
piacevole, al palato è intenso e piacevole ma 
soprattutto armonioso.
Di corsa arrivo da Henry Giraud
vignaiolo 
estroverso e per 
certi versi 
innovativo, bottiglie stilisticamente 
ricercate, tappo 
fermato da una 
graffetta al posto della classica 
gabbietta, ma 
quello che mi 
colpisce di più 
sono le prove su 
anfore e piccoli 
otri di cemento, 
oltre che all’uso 
della barrique. Per questi dovrò ripassare quando saranno pronti. Mi toccherà. Tra tutti mi colpisce l’Aragonne 
2004, 75% di Pinot Nero, 25% di chardonnay e 120 mesi, 10 anni sui lieviti. Il vino è evoluto 
nell’integralità dei lieviti, note di corn flakes 
nette, così come avvertibile ma piacevole il 
chiaro uso del legno.  Nel pomeriggio arrivo ad un nome storico, uno di quelli che hanno fatto 
la storia dello champagne Vueve Cliquot, la 
cui vedova ha inventato il remuage, seppur 
ancora sul tavolo. Il giro nella cantina 
sotterranea è spettacolare, affascinante ed 
impressionante. 24 chilometri di labirinti 
sotterranei dove riposando un numero 
pressoché inscrivibile di bottiglie. L’assaggio 
riguarda La Grande Dame, come dire: ti piace 
vincere facile, almeno così mi fanno notare su Facebook, ma come non si può raccontare un vino che rasenta la perfezione 61% pino nero e saldo di chardonnay, 10 anni di lieviti, remuage manuale (hanno 2 persone che ogni giorno 
“girano 50.000 bottiglie…) nonostante un 
numero imprecisato (segreto aziendale) di 
bottiglie. Naso esotico, evoluto e intenso. In 
bocca è un susseguirsi di emozioni e 
palpitazioni struttura acidità minerale e frutto 
in perfetto equilibrio, a dir poco iper elegante.
Chiudo il mio 
percorso con una visita privata da 
Charles 
Heidsieck, un 
altro big del 
settore. Avere il 
privilegio di una 
visita privata, di 
passeggiare negli 8 chilometri sotto Reims dove 
riposano diversi milioni di bottiglie in stanze a forma di bottiglia (spero si capisca dalle 
foto, ndr) non è 
cosa da tutti i 
giorni, ed è un’esperienza unica. Così come 
unico è assaggiare la produzione in compagnia dello Chef de Cave, Cyril Brun, chiamato in 
servizio dalle ferie per colpa mia. Grazie Slow 
Food, molto del merito è tuo. Tra gli assaggi mi ha colpito il Brut Reserve, il vino d’ingresso, 
ma con 72 mesi sui lieviti. La costruzione 
tutt’altro che banale, 60% vino dell’annata con 33% dei vari vitigni (Pinot nero, chardonnay e 
pinot meunier), il 40% vin de reserve con pinot nero e chardonnay di anni precedenti anche 10 anni d’invecchiamento.
Fresco nella frutta soda, croccante e succosa, inteso e persistente in bocca dove evidenzia un finale intrigante e sapido. Non posso non raccontarvi anche il Blanc de Millenairs 1995, 20 anni sui lieviti, fermentato e rifermentato sui suoi lieviti. Cuvée di 5 cru diverse, 4 Gran Cru (Avize, Cremant, Ay e Mesnil) e 1 Premier Cru (Vertus) dall’eleganza infinita, morbidezza intrinseca. Acidità composta che gioca sulla finezza ed eleganza. Scorrevole e sapido lascia una bocca sussurrata e piacevolissima, come la sensazione che lascia un bacio rubato. Chiudendo che dire, Champagne, non aspetterò altri 45 anni prima di tornare.

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