venerdì 20 marzo 2015

Bersot 1933 Pignoletto Emilia IGP 2012 di Gradizzolo

Con molta presunzione, ma un minimo di fondatezza posso dire di essere un conoscitore del mio territorio, della mia regione, della mia provincia e dei miei colli, se non altro ci studio, ci leggo mi documento.  Sono da sempre un sostenitore del nostro terroir e di conseguenza pignoletto, e spesso mi trovo a discutere di questo vino. La cosa è molto più semplice se a suo supporto delle tue parole  ti capita un pignoletto del genere. Difatti la bottiglia di quest’oggi è il Bersot 1933 Pignoletto Emilia IGP 2012 di Gradizzolo.
Gradizzolo è a Monteveglio, nella zona di maggior vocazione, in mezzo a boschi e vigneti, su terreni argillo calancuosi. La vigna che da origine a questo vino è del 1933 ed è quella piantata dal nonno di Antonio Ognibene, oggi titolare di Gradizzolo. Due sole tornature allevate a Guyot e con assoluto rispetto della natura. Banditi composti chimici, solamente rame e zolfo e i preparati biodinamici, 500 per il terreno, 501 per la vigna  e il sovescio, spesso fatto con favino e pisello. Vendemmia attenta e manuale, pressatura e vinificazione in bianco ed in acciaio. Un anno dopo passa in bottiglia, chiarificato solamente con travasi, qualche mese ed esce in commercio.
La bottiglia è la champagnotta con una bellissima etichetta semplice, chiara ed elegante che denota l’attenzione per un vino sopra la media.
Appena versato si evince un bellissimo colore giallo paglierino, quasi dorato, pieno di luce e luminosità. Il naso è suadente, evoluto, note dolci di frutta matura, frutta esotica, mango, ananas e papaya, qualcosa di nostrano di media grtandezza e soda, tipo la susina gialla e un po’ d’agrume con un fragrante cedro, poi nello scaldarsi i profumi hanno una sferzata verso un fresco vegetale. Note armoniose di macchia mediterranea un mix di salvia timo e maggiorana che s'intreccia alla begoniae ginestra. In bocca entra preciso, lineare e dinamico, succoso e preciso. Il Bersot come dicevamo è un 2012, quindi già con 2 anni di affinamento in bottiglia, affinamento che lo ha ammorbidito, difatti ora è in equilibrio pressoché perfetto. L’ancora grande acidità è mitigata da un corpo di livello ed ad un accenno tannico che asciuga la beva. Bevuta lunga e persistente, sicuramente interessante e gradevole, giocata su un’eleganza e finezza che pone questo pignoletto come uno dei riferimenti della tipologia. Durante la lunga persistenza si apprezza una striscia di sapore sapida di netto ed affascinante matrice minerale.
Consiglio di degustare il Bersot ad una temperatura di 14-16°, ed in calici di media grandezza a forma di tulipano.
Come abbinamento è perfetto con la tipica cucina emiliana e bolognese. Tortellini e passatelli chiaramente in brodo, ma anche la classicissima zuppa imperiale. Buona l’idea anche con primi piatti a base di verdure come asparagi o di pesce, in ques’ultimo caso mi indirizzerei verso pesci bianchi e cotture leggere.
Io l’ho abbinato ad un branzino al sale, abbinamento interessante in quanto il corpo del vino si sposava egregiamente con le carno sode e non intrinseche di sapore del pesce.

Consiglio di degustarlo nei classici pranzi domenicali in famiglia, dove chiacchere e allegria non mancano mai, ma dove anche la cucina un po’ più elaborata e grassa si addice meglio all’importanza di questo vino. L’abbinamento migliore rimane quello di condividerne un calice o più con la persona amata, la conquisterete, o terrete legata a voi, con suadente eleganza e raffinata classe. 

mercoledì 11 marzo 2015

Il Coroncino Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC 2012 di Fattoria Coroncino,

Verso la fine di un periodo critico e buio che mi ha tenuto un po’ lontano da questo blog mi
i è venuta voglia di infrangere la mia personale austerity enogastronomica, concedendomi una bella boccia da bere. Ovviamente nel frattempo ho degustato assaggiato e commentato, ma una bevuta per il piacere di farla non me la ero concessa. Cosa sceglie un enostrippato per il neo battesimo?
Niente di più semplice che un Verdicchio base. Semplice si, ma troppo, se andiamo, come ho fatto io, a scegliere una bottiglia di Lucio Canestrari, fautore sovversivo della Fattoria Coroncino. La bottiglia in questione è Il Coroncino Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC 2012 di Fattoria Coroncino, recuperata in un divertentissimo quanto freddo pomeriggio di fine agosto 2014 in compagnia dell’amico Andrea Marchetti di Intravino.
Coroncino e Lucio non hanno certo bisogno di questo blog per far parlare di se, per cuoi mi  soffermo solo sul fatto di come un un romano, trapiantato nello jesino abbia talmente creduto nell’autoctinicità del verdicchio da diventare un cavallo da tiro di un movimento, coniando al tempo stesso la sua famosa massima: “Ndo arivo metto ‘n segno”. Che non è una frase megalomane ma va intesa “io arrivo dove arrivo…”.
Il territorio è Staffolo, primo cocuzzolo degli appennini sopra Jesi che domina l’Adriatico , terra vocatissima per dar luce a dei signori verdicchi coltivato nel rispetto più assoluto dell’equilibrio uomo terra.
La bottiglia è la classicissima bordolese sormontata da un’etichetta multicolor di stile futurista   con il logo aziendale rosso e un alternarsi di grappoli d’uva bianca e nera  a fasciare.
Appena versato mostra un colore giallo paglierino pieno e carico con riflessi leggermente dorati, basta accostare il naso per essere invasi da profumi freschi ed estivi. Note di ginestra, biancospino ed un po’ di finocchietto immediate lasciano il posto al frutto con l’aumentare della temperatura pesca col pelo, susina ananas per chiudere con la vena quasi gessosa del minerale con scia di rosmarino in fiore.
In bocca entra dritto e preciso, franco, quasi crudo, con un sensazione tutto sommato morbida, probabilmente dovuta all’annata calda che ha tolto un poco di acidità ma portando il vino in un empirico equilibrio tra l’acidità, per l’appunto, e la grande sapidità ovviamente lasciata dalla vicinanza dell’Adriatico. Questa sapidità risalta ancor di più nel lungo finale persistente, dove c’è un ritorno del frutto, stavolta secco che mi riconduce alla nocciola e alla mandorla. Corpo e struttura di tutto rispetto sostengono a meraviglia la parte consistente d’alcool (14%) che contribuisce così anch’essa a tenere in equilibrio il vino. La cosa che mi piace di più di questo vino è la sua schiettezza, il suo essere senza fronzoli e senza “pippe” come diciamo qua a Bologna. Accosti il naso ed immediatamente sei catapultato in piena estate, tra sole e mare, infradito e tanga. Sorseggi il calice e la mente va fluttuando in positività, come solo i piaceri sanno dare. Calice non impegnativo ma assolutamente mai banale e che sorso dopo sorso e non lascia spazio ai compromessi. Ndo arivo metto ‘n segno.
Consiglio di degustare questo Coroncino 2012 in calici a tulipano di media grandezza, ad una temperatura si fresca, ma non fredda.
Come abbinamento c’è solo l’imbarazzo della scelta, se ci concediamo un intero pasto a base di pesce, questo calice può essere tranquillamente un perfetto compagno dall’inizio alla fine. Io sinceramente avevo voglia di bere bene, non avevo voglia di trafficare ai fornelli per cui c’ho abbinato a dei semplici bastoncini di merluzzo al forno, abbinamento che oscilla tra il sacro 8del vino) ed il profano (dei bastoncini) passando dal Diavolo (sempre dei bastoncini) all’acqua santa, (sempre del vino).
Sul calice del giorno dopo non posso scendere in tecnicismi, non me ne è rimasto!

Vino perfetto per essere consumato nel pranzo domenicale in famiglia, ricordando che l’abbinamento migliore rimane quello di condividerne un calice o due con la, le persone amate!