sabato 31 maggio 2014

Rucantù 2008 Pigato DOC di Selvadolce

Non sempre i vini si scelgono per conoscenza, non sempre si scelgono per tipologia e non sempre si scelgono per il prezzo, qualche volta si scelgono perché te li consiglia un’enoteca e se butti l’occhio sull’etichetta ti risulta impossibile non comprarla, anche se il prezzo è leggermente sopra media. Anche in quest’ultimo caso c’è un perché, e questo perché lo scopriremo durante l’articolo.
Il vino in questione è il RUCANTU’ 2008 Riviera Ligure di Ponente Pigato DOC di Selvadolce mi è stato consigliato dal buon Diego dell’enoteca Le Lune di Imola, dopo aver portato a casa la bottiglia inizio a documentarmi dal momento che non conoscevo né il vino ne l’Azienda.
Azienda con due lustri di storia alle spalle, cioè da quando Aris Blancardi inizia la conversione dell’Azienda floricola di famiglia in Azienda vinicola. Da subito, confrontandosi con altri vigneron e studiando approfonditamente vira nel biodinamico per convinzione e converte l’intera proprietà seguendo il modello ideato da Rudolf Steiner. La zona di produzione è Bordighera, estremo ovest ligure a pochi passi dalla Francia, i vigneti sono quasi quarantenni e sono terrazzati sullo splendido mare, tra le rocce invece spuntano ancora molte buganvillee. L’esposizione è a sud e per il vigneto che dà origine a questo Rucantù e nell’immediatezza della proprietà e da il nome per l’appunto all’intera Azienda il Selva Dolce, è situato a 170 mt s.l.m. con suolo franco argilloso e calcareo, vigneto spesso invaso da forti venti di maestrale tali da rompere anche i fili di sostegno d’acciaio.
La bottiglia è la classica bordolese in verde scuro, mentre, come dicevamo, l’etichetta principale è una vera e propria opera d’arte. Nessuna scritta, nessun simbolo, solo 3 etichette separate e colorate in bel tratto che donano forza e valore unendo arte e simpatia. Tutte le informazioni sul vino sono rilegate nell’etichetta sul retro.
Alla mescita si evince un giallo dorato carico, fin da subito è evidente il suo appartenere ai macerati, ai cosiddetti orange wine. Cosa per altro molto evidente non appena porto il calice al naso in quanto vengo invaso da profumi tipici di questa tipologia di vini atta a estrarre molti profumi. Difatti il Rucantù è un Pigato in purezza vinificato con una macerazione sulle bucce e una fermentazione sulle fecce fini in barrique. Il naso è subito chiuso, ma bastano pochi colpi di roteazione del calice per essere invasi da profumi intensi e persistenti. La prima sensazione che penso è: questo vino sa di mare! La macchia mediterranea è franca e netta, poi arriva l’agrumato del fruttato per virare in chiusura con lo speziato, le note riconoscibili sono tantissime segno dia buona evoluzione, salvia, timo, maggiorana, menta, tiglio, calla, scorza d’arancio, miele, tanto zafferano. Profumi che sono molto fini e altrettanto eleganti.
Anche la bocca è coerente con il naso, infatti le sensazioni meditettarenee sono nettissime. La forte acidità e altrettanto forte sapidità di estrazione salino, vengono equilibrate da un minimo di tannicità ottenuto dalla macerazione e dal buon grado alcolico. Intenso nella fase d’ingresso, poi scattante e avvolgente per finire con una lunghezza gustativa di assoluto interesse che chiude con il tostato della mandorla. Secco ed abbastanza morbido, buon corpo e struttura, equilibrato ed armonico fa dell’alta bevibilità il suo pregio maggiore. Praticamente impossibile degustarne solo un calice.
Consiglio di degustarlo ad una temperatura di 12° 14° gradi ed in calici a tulipano di media grandezza.
Perfetto da abbinare a piatti ricchi di estrazione marittima, anche in preparazioni grasse come zuppe o pesci al cartoccio. Anche con i crostacei l’abbinamento è appropriato.
Con le carni trova l’abbinamento con arrosti di tacchino, coniglio ed anche con selvaggina da penna come faraone, anatre e fagiani. Perfetto anche da consumarsi fuori pasto per regalare e regalarsi un piccolo piacere.
Io personalmente l’ho abbinato ad una tagliata di petto d’anatra al succo d’arancia, abbinamento che si è rilevato azzeccato in quanto l’acidità del vino contrastava bene la grassezza del petto e il corpo del vino non surclassava quella della carne.
Regge molto bene anche il calice del giorno dopo, in quanto l’ossigenazione aiuta ad completare ancor di più il vino, donando un corredo olfattivo ancor più importante ed evoluto. In questo caso l’ho abbinato ad un petto di pollo alla griglia, abbinamento in cui il vino ha soppiantato nettamente il piatto, mentre meglio l’abbinamento con il quadretto di torta pasqualina a chiusura del pasto.
Vino ideale da consumarmi durante una cena tra amici appassionati di vino e durante un importante cena lavorativa dove nulla può essere lasciato al caso.
L’abbinamento migliore rimane sempre quello di condividere una calice o due con la o le persone amate.


sabato 10 maggio 2014

Pignoletto Frizzante 2013 del Monticino DOC Colli Bolognesi

La bella stagione è alle porte, il caldo si inizia a far sentire e di pari passo i vini si alleggeriscono, si snelliscono e diventano più easy. Questo non vuol certo dire che sono meno buoni, anzi, per chi come me apprezza le bollicine e gli autoctoni, trova ampio godimento. La Pasqua appena passata mi ha lasciato un ultimo sacchetto di tortellini di Donna Flora (mia mamma, ndr) quale occasione migliore che non stappare un pignoletto frizzante? Molti miei “colleghi” appassionati di vino, disdegnano il pignoletto, ancor di più se frizzante. Chissa poi perché! Io non ho puzze sotto il naso, non credo di tirarmela enologicamente, e apprezzo il pignoletto, pure frizzante, mica sempre si può bere un Chateou Picopallino. Con la bella stagione, e coi tortellini io un calice di pignoletto me lo godo, eccome! Per questa mia nuova recensione, ho stappato un Pignoletto Frizzante 2013 del Monticino DOC Colli Bolognesi. L’azienda relativamente nuova, opera a Zola Predosa, primo hinterland bolognese da quasi 15 anni ed è gestita dalla famiglia Morandi, prima con Ruggero, ora col vulcanico figlio Giacomo. 12 sono gli ettari coltivati, tutti seguendo il progetto Magis, il primo e più avanzato progetto per la sostenibilità della produzione del vino in Italia. Si coltivano l’autoctono Pignoletto, il quasi autoctono barbera ed a completare la gamma Sauvignon, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, e per il passito la Malvasia di Candia.
La bottiglia è la nuova ed originale che il Consorzio dei Colli Bolognesi ha scelto per il pignoletto frizzante nel 2011, sormontata da una moderna e bella etichetta verde e grigia in cui è riportato il simbolo dell’azienda, una M stilizzata, che sta per Il Monticino e Morandi oltre a disegnare il cucuzzolo in cui sorge la cantina.
Alla mescita il colore è un giallo paglierino tenue e scarico, con ampi riflessi verdolini, a ricordare la gioventù di questo 2013, sottile e persistente il perlage che forma una gradevole spuma in superficie.
Al naso è floreale e fruttato, fine ed elegante. Profumi freschi che risultano più intensi che persistenti. In apertura qualche nota da lievito è evidente e riconoscibile nella classica crosta di pane, ma grazie alle bollicine che portano in superficie gli altri profumi si possono riconoscere con franchezza il floreale fresco e pungente del biancospino, dei fiori bianchi di campo. Subito dopo si riconoscono le note fruttate di una frutta soda e non troppo matura, come la classicissima pera e mela e anche della pesca noce a pasta bianca. In bocca l’ingresso è subito intenso e quasi dolce, sensazione che sparisce subito lasciando una sensazione secco amarognola. Risulta fine ed elegante, con una buona acidità e sapidità, che però lasciano una morbidezza intrinseca che lo rende molto armonico. Secco di zuccheri, seppur con un discreto residuo zuccherino, sufficientemente caldo di alcol, come da tipologia, così come il corpo e la struttura. Buona come dicevamo l’acidità che rende molto facile e snella la beva, rendendo molto complicato poggiare il calice. Ottima l’intensità così come la persistenza gustativa dove si apprezza una gradevole sapidità che porta alla classica chiusura amarognola che ben contrasta il residuo zuccherino.
In poche parole un ottimo pignoletto frizzante, con chiara impronta moderna e giovanile, che fa della giovialità il suo punto di forza, rispecchiando in tutto e per tutto l’essere bolognese.
Consiglio di berlo in calici a forma di tulipano non troppo pronunciato ed ad una temperatura di 7-8°.
Io l’ho abbinato come da intro con un ottimo piatto di tortellini rigorosamente in brodo di cappone, e si è trattato di un buon abbinamento, sia per tradizione che organiletticamente, il grasso del brodo veniva bilanciato dall’acidità di questo pignoletto.
Regge molto bene anche il calice del giorno dopo, dove mantiene alto sia il perlage che il piacere gustativo complessivo, quest’ultima parte di bottiglia l’ho abbinato ad un petto di pollo alla griglia, abbinamento tutto sommato buono che sfruttava la leggerezza del pollo.
Altri buoni abbinamenti sono quelli con gli antipasti a base di torte di verdura e di salumi affettati sottili e tutti quei finger food più o meno elaborati che troviamo in giro per locali all’ora dell’aperitivo.
Primi piatti a base di paste sia in brodo che asciutte, quest’ultime con verdure croccanti.
Perfetto anche con quasi tutta la gamma ittica, specialmente le fritture, anche di gamberi, ed il mitico spaghetto alle vongole.  
Ideale da consumarsi nel pasto familiare domenicale, così come in un’allegra cena tra amici, dove l’allegria è il buon vino non possono mancare e da degustarsi rilassandosi sulla sdraio in terrazza al rientro da una dura giornata di lavoro.
L’abbinamento migliore rimane quello di condividere un calice o due con la persona amata, questa volta lo / la sorprenderete con l’allegria e giovialità.

Se mi permettete un ultimo consiglio, se andate a fere gli aperitivi in centro, così come in periferia e in spiaggia smettete di chiedere un prosecco… chiedete un Pignoletto frizzante, se de Il Monticino ancor meglio.