Non sempre i vini si scelgono per conoscenza, non sempre si
scelgono per tipologia e non sempre si scelgono per il prezzo, qualche volta si
scelgono perché te li consiglia un’enoteca e se butti l’occhio sull’etichetta
ti risulta impossibile non comprarla, anche se il prezzo è leggermente sopra
media. Anche in quest’ultimo caso c’è un perché, e questo perché lo scopriremo
durante l’articolo.
Il vino in questione è il RUCANTU’ 2008 Riviera Ligure di
Ponente Pigato DOC di Selvadolce mi è stato consigliato dal buon Diego dell’enoteca
Le Lune di Imola, dopo aver portato a casa la bottiglia inizio a documentarmi
dal momento che non conoscevo né il vino ne l’Azienda.
Azienda con due lustri di storia alle spalle, cioè da quando
Aris Blancardi inizia la conversione dell’Azienda floricola di famiglia in
Azienda vinicola. Da subito, confrontandosi con altri vigneron e studiando
approfonditamente vira nel biodinamico per convinzione e converte l’intera
proprietà seguendo il modello ideato da Rudolf Steiner. La zona di produzione è
Bordighera, estremo ovest ligure a pochi passi dalla Francia, i vigneti sono
quasi quarantenni e sono terrazzati sullo splendido mare, tra le rocce invece spuntano
ancora molte buganvillee. L’esposizione è a sud e per il vigneto che dà origine
a questo Rucantù e nell’immediatezza della proprietà e da il nome per l’appunto
all’intera Azienda il Selva Dolce, è situato a 170 mt s.l.m. con suolo franco
argilloso e calcareo, vigneto spesso invaso da forti venti di maestrale tali da
rompere anche i fili di sostegno d’acciaio.
La bottiglia è la classica bordolese in verde scuro, mentre,
come dicevamo, l’etichetta principale è una vera e propria opera d’arte. Nessuna
scritta, nessun simbolo, solo 3 etichette separate e colorate in bel tratto che
donano forza e valore unendo arte e simpatia. Tutte le informazioni sul vino
sono rilegate nell’etichetta sul retro.
Alla mescita si evince un giallo dorato carico, fin da subito
è evidente il suo appartenere ai macerati, ai cosiddetti orange wine. Cosa per
altro molto evidente non appena porto il calice al naso in quanto vengo invaso
da profumi tipici di questa tipologia di vini atta a estrarre molti profumi. Difatti
il Rucantù è un Pigato in purezza vinificato con una macerazione sulle bucce e
una fermentazione sulle fecce fini in barrique. Il naso è subito chiuso, ma
bastano pochi colpi di roteazione del calice per essere invasi da profumi
intensi e persistenti. La prima sensazione che penso è: questo vino sa di mare!
La macchia mediterranea è franca e netta, poi arriva l’agrumato del fruttato
per virare in chiusura con lo speziato, le note riconoscibili sono tantissime
segno dia buona evoluzione, salvia, timo, maggiorana, menta, tiglio, calla, scorza
d’arancio, miele, tanto zafferano. Profumi che sono molto fini e altrettanto
eleganti.
Anche la bocca è coerente con il naso, infatti le sensazioni
meditettarenee sono nettissime. La forte acidità e altrettanto forte sapidità di
estrazione salino, vengono equilibrate da un minimo di tannicità ottenuto dalla
macerazione e dal buon grado alcolico. Intenso nella fase d’ingresso, poi
scattante e avvolgente per finire con una lunghezza gustativa di assoluto
interesse che chiude con il tostato della mandorla. Secco ed abbastanza
morbido, buon corpo e struttura, equilibrato ed armonico fa dell’alta
bevibilità il suo pregio maggiore. Praticamente impossibile degustarne solo un
calice.
Consiglio di degustarlo ad una temperatura di 12° 14° gradi
ed in calici a tulipano di media grandezza.
Perfetto da abbinare a piatti ricchi di estrazione
marittima, anche in preparazioni grasse come zuppe o pesci al cartoccio. Anche
con i crostacei l’abbinamento è appropriato.
Con le carni trova l’abbinamento con arrosti di tacchino,
coniglio ed anche con selvaggina da penna come faraone, anatre e fagiani.
Perfetto anche da consumarsi fuori pasto per regalare e regalarsi un piccolo
piacere.
Io personalmente l’ho abbinato ad una tagliata di petto d’anatra
al succo d’arancia, abbinamento che si è rilevato azzeccato in quanto l’acidità
del vino contrastava bene la grassezza del petto e il corpo del vino non surclassava
quella della carne.
Regge molto bene anche il calice del giorno dopo, in quanto
l’ossigenazione aiuta ad completare ancor di più il vino, donando un corredo
olfattivo ancor più importante ed evoluto. In questo caso l’ho abbinato ad un
petto di pollo alla griglia, abbinamento in cui il vino ha soppiantato nettamente
il piatto, mentre meglio l’abbinamento con il quadretto di torta pasqualina a
chiusura del pasto.
Vino ideale da consumarmi durante una cena tra amici
appassionati di vino e durante un importante cena lavorativa dove nulla può
essere lasciato al caso.
L’abbinamento migliore rimane sempre quello di condividere
una calice o due con la o le persone amate.