lunedì 23 giugno 2014

Dinavolo 2008 di Denavolo

Tutto iniziò una sera di metà gennaio 2011, fuori nevicava e la neve aveva superato i 40 centimetri, il che a Castel San Pietro non è così usuale. La sera prima un’insolita degustazione di abbinamento eno letterario dall'amico Claudio Driol di Canto 31, mi aveva lasciato sul tavolo una bottiglia aperta di Dinavo, non fu amore a prima vista, ma oggi non posso più fare a meno di bermene una bottiglia di tanto in tanto. Ho usato la parola bere perché questo vino è da bere, non da degustare, va goduto per il piacere che da, non ammirato per la “perfezione”. E’ un vino insolito, certamente non per tutti, ma di un fascino unico che non lascia indifferenti, un po’ come una donna, che non sarà perfetta, non sarà mai una modella, o per un paio di chili in più, o per un dente non allineato, ma che con fascino ed amorevolezza ti fa girare la testa perdutamente. D’altronde le modelle vanno bene per una notte, le donne, quelle vere per tutta la vita. Questo è il Dinavolo.
Ma andiamo con ordine, il Dinavolo bevuto quest’oggi è un vino da tavola nella sua versione 2008 prodotto da Denavolo, l’azienda di proprietà di Jacopo e Giulio Armani, quest’ultimo già ecclettico enologo de La Stoppa, e difatti il Denavolo può essere definito la versione “rustica” dell’Ageno. Non fatevi ingannare dalla definizione di vino da tavola, perché in questo caso non è indice di bassa qualità ma è un vero e proprio suggerimento, è un vino da bersi a tavola, d’altronde dove va bevuto un vino se non a tavola?
Il territorio è la Val di Trebbia, Travo per la precisione in provincia di Piacenza ad un’altezza di 500 mt s.l.m. e le vigne crescono su di un terreno chiaro con molto calcare sciolto e scheletro  e sono condotte in assoluto equilibrio naturalistico con l’assoluta mancanza di chimica. Anche in cantina c’è una grande attenzione, lunga macerazione del mosto sulle bucce (difatti questo vino è un “Orange wine”, di quelli tosti ed estremi) uso dei soli lieviti indigeni assenza di solfiti aggiunti e nessuna chiarifica.
Il Denavolo 2008 è assemblato con percentuali variabili di anno in anno di malvasia di Candia, Ortrugo e marsenne più altre uve locali, tutte per l’appunto vinificate in rosso.
La bottiglia è una borgognotta pesante, non so perché ma i pesi delle bottiglie dei vini naturali o meglio dei vini culturali è sempre maggiore di quelli convenzionali, mentre l’etichetta è in un elegante bianco satinato con scritte altrettanto eleganti in blu.
Alla mescita si è subito straniti, il colore è pazzesco, arancione, arancione davvero, meglio ancora, ambra brillante e luminoso, quasi da passito
Basta mettere il naso nel calice per essere ancor più straniti. Profumi intensi e persistenti, terziari a go go. In partenza è presente anche un po’ di volatile, di sensazioni smaltate, ma qualche roteazione del calice e si perfeziona, profumi di frutta a pasta gialla matura, albicocca e pesca, ma anche di frutta essiccata quasi di fico che non virano al dolce, anzi si indirizzano sul mediterraneo, salvia timo maggiorana, un po’ di rosmarino per poi chiudere nuovamente su iodio e zafferano. Profumi che comunque sono molto dinamici cambiando e continuando a cambiare nel tempo. Alche in bocca lascia straniti, la sensazione è di un vino intenso e persistente, particolarmente asciutto, asciugato da un tannino molto evidente e presente, contrastato da un’inebriante acidità ben integrata. Notevole anche la sapidità che è un vero è proprio mix di minerale e salinità, mentre il corpo è si possente ma non potente, alleggerito da un ottima beva, ma quel che più sorprende è l’altissima personalità ed il forte carattere. Difficile definirlo morbido, in questo momento, a  sei anni dalla vendemmia è ancora spostato sulle sostanze dure, il tempo lo ammorbidirà. Certo, è un vino difficile, una sorta di ritorno alle origini, ma di sicuro appagamento anche per la sua evidente succosità. In poche parole un vino che ricorda da vicino quello del contadino di tanti anni fa, ma prodotto con l’integrazione delle conoscenze attuali. Conoscenze che non modificiano il risultato finale, per una volta davvero la sola somma del territorio più il vitigno più l’annata più l’abilità umana.
 Consiglio di degustare il Dinavolo in api calici a tulipano, ed ad una temperatura di cantina, 14° 15° gradi, non meno, per non rendere aggressivo il tannino e per armonizzarlo nei profumi.
Difficile l’abbinamento, in quanto la particolarità del vino richiede cibi particolari, fagiano, oca e anatra, ma anche rane in umido e soprattutto anguilla ai ferri. Perfetto anche con formaggi di media stagionatura e di capra o misti, è indicato anche da bersi da solo dopo cena sorseggiandolo piano quasi fosse un whiskey.
Io l’ho abbinato ad una tagliata di petto d’anatra al forno, abbinamento che mi ha soddisfatto appieno il mix di tannino e di acidità contrastava bene la succosità della carne e il corpo del vino era appropriato all’intensità della carne d’anatra.
Regge meravigliosamente il calice del giorno dopo, anzi forse ancor meglio, la lunga apertura si addice a questa tipologia di vini, rendendoli ancor più gradevoli. In questo caso l’ho abbinato al “resto” dell’anatra cotta però al forno.
Vino ideale da bersi con amici appassionati di vini ed in grado di apprezzare le caratteristiche insolite ed affascianti di questo vino, non nato per piacere ma per dare piacere.

L’abbinamento migliore rimane però quello di condividerne un calice o due con la persona amata 

venerdì 6 giugno 2014

Champagne Encry

L’altra sera ho partecipato ad una interessantissima degustazione organizzata da un amico, ancor prima che degustatore e delegato dell’Onav Bologna, Davide Gallia. La serata aveva lo scopo di presentare la maison di Champagne Encry. Maison di assoluto interesse per diversi motivi, che ora vi elencherò in ordine sparso. Trattasi di uno champagne Gran Cru, e sono solo 17 i comuni a fregiarsi di tale denominazione, la zona è confinante con Krug e Salon, la proprietà si occupa in prima persona di tutto il processo di produzione dalla vigna alla cantina, cioè i récolants manipulants, infine è di proprietà di una famiglia italiana, cosa non da poco in terra francese.
La zona invece è quella stratosferica de Le Mesnil Sur Oger nel cuore della Cotê de Blanc, nella sua parte alta in piena zona Gran Cru, ricca di gesso che dona carattere personalità e peculiarità uniche.
Queste nozioni sono state spiegate direttamente dal titolare Enrico Baldin che con bravura e simpatia ha trasformato questa degustazione in una sorta di visita in azienda. Durante la presentazione ci ha anche illustrato il suo intento di contenere gli interventi in vigna e la sua conversione al biodinamico, parola che in me accende una lampadina, pur considerando l'estremizzazzione dello champagne che è e rimame un vino prodotto alle soglie del 50esimo paralelo e fra produttori che di bio o altro non ne vogliono neppure sentir parlare.
A queste prime premesse aggiungiamo, la caparbietà, l’ottusità, insistenza oltre alla grande bravura di Enrico Baldin che ha
fatto sì che questo marchio che produce appena 30.000 bottiglie (una briciola di fronte alle più di 300.000.000 prodotte nell’intera zona) siano comunque degne di nota e di sicuro interesse.
Diversamente dal solito dalle mie recensioni, parlerò stavolta in generale di tutta la produzione dell’azienda, entrando nel merito delle rispettive etichette.
Filo conduttore dell’azienda è un’estrema raffinatezza di fondo, finezza ed eleganza sono un denominatore comune,. Così come la netta sensazione che ci troviamo di fronte ad una produzione che fa dell’eleganza la sua arma migliore, seppur con nette differenze tra i vari prodotti. In poche parole come se l’intera produzione di Encry sia un bellissimo vestito a festa, quelli che si indossano per i matrimoni, con tutte le “cosine” al posto giusto, camicia e pantaloni perfettamente stirati, camicia che profuma di lavato e cravatta con nodo impeccabile. Questo almeno fino a che non ho assaggiato il Zéro Dosage, dove era evidente e appagante la cravatta allentata e la camicia molto più sborsata… insomma oltre all’eleganza si percepiva personalità e comodità… insomma pensate al momento che dopo una giornata passata con cravatta arriva il momento di allentarla… questo era il Zéro Dosage.
Ovviamente è molto percettibile il netto inseguire un risultato, la costruzione di questi champagne, a tratti il tecnicismo è chiaro e netto. D'altronde come non potrebbe esserlo? Lo champagne è per natura un vino costruito, solo l’abilità e la tecnica umana sanno donare le bollicine a questo nettare.
Ma andiamo con ordine, le bottiglie erano champagnotte con un etichetta nera finissima e molto elegante, che donano pregio ed importanza alla bottiglia stessa.
Il primo assaggio era il Gran Cuvèe Brut, un 36 mesi di chardonnay in purezza, con un aggiunta di un 5% di liquore di tirage. Colore giallo paglierino tenue, con riflessi verdolini e perlage molto importante ma di grana fine ed estremamente gradevole. Al naso le note tostate prevalevano su tutto, nocciole, arachidi, l’immancabile crosta di pane sono nette e franche, così come le successive note agrumate. In bocca è scattante, avvolgente, più intenso che persistente, ma estremamente morbido. Interessantissima la parte minerale al limite del gessoso che impreziosivano la beva caratterizzata dalla bellissima sapidità di tratto minerale.
Queste caratteristiche le ritroviamo nel Gran Rosè Prestige, dove alla stessa metologia di produzione viene sostituito un 5% di chardonnay con del Pinot Nero scelto nella ricercata Bouzy. Questa piccola percentuale è sufficiente per caratterizzare il vino, che vira in note più fruttate di frutta piccola a pasta rossa, che donano anche un bellissimo colore rosa tenue. Anch’esso intenso, leggermente più persistente con una buonissima sapidità percettibile nella sua pienezza di un acidità che dona carattere pur rimando nell’eleganza generale di tutta la beva.
Per terzo vino abbiamo assaggiato quello che per me è stato il re della serata, il Zéro Dosage, anche questo chardonnay in purezza con 36 mesi di permanenza sui lieviti. Colore bellissimo, giallo paglierino intenso, brillante con un perlage continuo di infinite bollicine di bellissima fattura. Naso inteso e persistente che gioca sulle note tostate, floreali che vira in chiusura sull’agrumato dove è netto è franca la sensazione citrina di un cedro in fase di maturazione. In bocca risulta più inteso e più persistente dei precedenti, dai tratti quasi duri e dall’acidità tagliente e verticale. Una bocca di assoluto appagamento, dove l’equilibrio insabile delle sostanze dure, acidità, sapidità sé quai perfetto, l’eleganza e la finezza sono un passo indietro ai precedenti, ma non per questo assenti. Praticamtne la sensazione di un bellissimo vestito da matrimonio, ma reso ancor più comodo ed affasciante dalla cravatta allentata, dalla camicia eccessivamente sborsata e dalla barba incolta. In poche parole un vino di estremo appagamento fisico ed estetico, dalla beva intesa ed appagante che non ti stanchi mai di bere e di appoggiare il calice. Un vino che rasenta i 90 centesimi.
Abbiamo chiuso con una mini verticale di due millessimati sempre di chardonnay in purezza, ma questa volta di 60 meri si permaneza sui lieviti. Il Millésime 2005 era da subito leggermente chiuso, con le tipiche note lievitose non apparicenti, ma dopo qualche minuto si apriva e regalava piacevolezza e finezza. Morbido ed avvolgente, seppur con una discreta acidità che lo rendeva estremamente fresco e scattante.
Il Millésime 2004 che ha chiuso la bella degustazione risaliva ai livelli del Dosage Zerò, strepitosamente bello, naso freschissimo nonostate i 10 anni alle spalle, molto intenso e persistente, giocato sulle note agrumate e di lievito. Anche la bocca è coerente col naso, risultando molto intensa e persitente. Freschezza sostenuta da una bellissima spalla acida che non intacca il suo essere morbido di sostanza. Corpo pieno e struttura nella norma, armonico e con un infinita persistenza dove è appagante la sapidità che ci riporta alla sua partenza gessosa.
Chiudendo sono tutti champagne di estrema finezza ed eleganza, ma con una bevibilità disarmante in cui diventa impossibile appoggiare il calice.
Consiglio di berli in calici con la base a V e l’imbocco più ampio, in modo da valorizzare sia il perlage che i profumi, ed ad una temperatura di 8°-9°.
Come abbinamento trovano impiego con tutta la gamma di pesci, dai piesci azzurri ai pesci bianchi, dalle preparazioni light a quelle importanti e più grassi. Fantastico con le fritture di gamberi. Così come è un idea meravigliosa degustarne un calice per regalarsi un piacere.
Purtroppo non ho avuto modo di degustarlo con un piatto, ma solo in una degustazione, per cui mi riprometto di riprovarlo in una cena.

Perfetto da consumarsi in una romantica cena a due a lume di candela in riva al mare. Se la cena è di “approccio” la vostra alla vostra lei (o lui) sarà impossibile resistervi e cadrà ai vostri piedi, se è un anniversario la riuscita è garantita. Ricordate che l’abbinamento migliore è condividerne un calice o due con la persona amata, mai come stavolta sarete ricambiati con amore.